Da ALDA KUSHI

Il deficit sociale[1] è l’altra questione deficitaria che presenta il Trattato Costituzionale. Molti sociologi ritengono che esso sia uno delle principali ragioni che ha portato al suo fallimento. Secondo Balibar questo trattato è molto giuridico e si concentra molto su diritti tali come eguaglianza e libertà che, di fatto, sono conquiste storiche e non elementi innovativi del trattato e tralascia molto i diritti sociali che, di fatto, stanno alla base del “ Welfare”.

I diritti sociali partono e nascono all’interno di una società dai movimenti sociali (dalle esigenze della società) e poi attraverso l’azione politica vengono imposte a livello istituzionale per diventare in fine diritti giuridicamente tutelati. I diritti sociali quindi hanno un tragitto basato sul esperienza nazionale, nascono in una società omogenea e poi vengono imposte alle sedi istituzionali di uno Stato. Quindi hanno un carattere nazionale e ogni Stato presenta un pacchetto diverso di diritti.

L’Unione europea è composta da ben 27 stati (tradotto in 27 pacchetti diversi di diritti sociali) e include culture giuridiche, politiche e sociali eterogenee e ciò che viene presentato nel progetto costituzionale è solo il minimo comune multiplo e inevitabilmente da ogni Stato lascia fuori qualcosa. Queste sono le principali ragioni che ci portano a parlare di un deficit sociale:

 

1-      Insufficienza di diritti sociali, perché dal pacchetto sociale di ciascun stato si lascia sempre qualcosa fuori che fa i cittadini optare per la propria Carta nazionale più tosto che per quella europea.

2-      Non introduce niente di nuovo ma si limita a ripetere diritti che già stanno nelle Carte Costituzionali di ciascun Stato membro.

3-      Non c’è uno Stato, una istituzione, che tuteli in modo efficiente questi diritti ( ritorniamo al deficit democratico)

 

 Un modello sociale europeo[2], come politica per il futuro, sarebbe forse la chiave di volta per una ripresa del processo costituzionale. Da questo punto di vista occorrerebbe probabilmente modificare il testo costituzionale laddove presenta degli elementi di deficit sociale e democratico, ma ancora più importante sarebbe il compito di avviare una politica sociale comune. Ma è chiaro che non c’è da attendersi che questo venga grazie all’opera dei tecnocrati illuminati, per quanto in passato abbiano avuto i loro meriti. Il modello sociale europeo non può essere un modello disegnato dall’alto da istituzioni regolative, su una base necessariamente consensuale, ma strutturato dal basso, grazie a forze sociali che agiscono attraverso logiche di contrapposizione e di conflitto. Gran parte di questo processo dipenderà quindi dalla società civile e dalle sue espressioni, a cominciare dai sindacati. Dipenderà dalle capacità dei cittadini di utilizzare gli stessi strumenti utilizzati per la creazione di uno Stato sociale nazionale, questa volta però in uno spazio molto più ampio, quello europeo. Impostare quindi a livello europeo tutti gli strumenti utilizzati nell’ambito nazionale per la creazione di un modello sociale e aggiungere a questi una comunicazione più forte tra i cittadini appartenenti a diversi modelli sociali. Sono i cittadini i quali devono impegnarsi, come hanno fatto nell’ambito nazionale, e creare a livello europeo le istanze necessarie in intermini di contrattazione collettiva, diritti dei lavoratori, sicurezza sociale , sistemi pensionistici, diritto alla salute ecc. Il modello sociale europeo non può rientrare in quel gruppo di progetti comunitari al quale si aderisce in linea di principio, esso deve venir fuori dalle comunicazione, dagli scambi, dalle polemiche tra i cittadini dei diversi paesi europei. Il modello sociale che necessità l’Europa non è quello creato dai tecnici, ma quello che viene fuori dai dibattiti, dalle lotte, dallo stesso fiorire di idee europeiste[3]

 

 Cittadinanza europea

 

La cittadinanza, pur avendo radici antiche e pur trovando un’embrionale applicazione nella società comunale, è un istituto moderno che si sviluppa con il fermento illuminista, che progredisce nell’ambito della società capitalista e che si struttura nell’alveo del Welfare State. Dalla sua nascita ai giorni d’oggi il concetto di cittadinanza ha subito passo dopo passo delle trasformazioni. La logica comunitaria antica e medioevale è stata via via soppiantata dalla logica associativo – contrattuale tipica dei rapporti che vigono nello Stato-nazione, consolidando così in chiave universalistico – razionale un rapporto che nasce come particolaristico – tradizionale. Osservato alla luce dei processi che attraversano la contemporaneità questo legame, può svilupparsi in senso ulteriore, ossia in forma cosmopolitica e transnazionale, tale da condurre alla formazione di un’identità del cittadino più complessa e più articolata, con riferimento ovviamente all’assetto attuale dell’Unione Europea.

Però bisogna dire e ribadire che la cittadinanza nasce all’interno dello Stato, è lo Stato il suo elemento fondatore e anche garante e non altre forme istituzionali ed è anche per questo che una cittadinanza europea sarebbe un elemento del tutto innovativo che rappresenta una novità assoluta nell’odierno panorama geopolitico[4].

 

Il processo stesso di costruzione europea ha portato la nascita di un’entità istituzionale particolare che si pone a metà strada tra la federazione e la confederazione. L’Unione europea si regge, infatti, su organi di governo centrale varati di comune accordo tra gli Stati aderenti, emana norme che hanno effetto sulle amministrazioni e sulle istituzioni che ne fanno parte e tutela i diritti fondamentali degli individui stabilendo le linee dello status di cittadinanza europea. Gli Stati che la compongono rimangono però indipendenti creando a un’istituzione transnazionale all’interno della quale l’impronta comunitaria permea ogni livello della vita civile.

 

L’Unione Europea costituisce quindi un elemento di forte novità nella tradizione dello Stato moderno creando una sorta di ibrido tra modelli diversi. Se la configurazione dell’Unione europea presenta il profilo di un’entità istituzionale atipica, la cittadinanza che ne deriva mostra allo stesso modo alcuni aspetti decisamente originali. La cittadinanza europea, a fianco di quella nazionale, è inserita in un sistema di «cittadinanza duale» che, accomunando cittadini di Stati diversi, ha riflessi importanti sulla consistenza dello status soggettivo, così come sulla rappresentazione dell’appartenenza individuale. Essa è conferita a tutti i cittadini degli Stati membri dell’Unione in maniera automatica in quanto titolari della cittadinanza nazionale. Questa è l’unica modalità prevista per la sua acquisizione e non può essere riconosciuta a soggetti che la richiedano direttamente. La titolarità della cittadinanza nazionale costituisce perciò la precondizione formale per l’ottenimento della cittadinanza europea che, rispetto alla prima, si traduce in uno status aggiuntivo e complementare. Si tratta perciò di due modi paralleli di esprimere il ruolo di cittadino che attivano e che producono i loro effetti simultaneamente e concorrentemente. Le garanzie che derivano dalla cittadinanza europea integrano il sistema di tutele previste dai singoli Stati membri e ampliano in due direzioni l’efficacia dello status dei cittadini del Vecchio Continente: verticalmente, grazie a nuove forme di sostegno e di monitoraggio dei diritti di cittadinanza a livello sovranazionale, e orizzontalmente, grazie al riconoscimento formale dei propri diritti anche negli altri Stati dell’Unione Europea[5]. Quindi alla fine il ruolo della cittadinanza europea si limita alla doppia tutela di diritti già esistenti e tutelati a livello nazionale e non aggiunge qualcosa di nuovo. Il suo ruolo integrante riguarda solo al sistema di tutela e non ai diritti stessi.

 

L’introduzione della cittadinanza europea rappresenta, per alcuni, un importante fattore di democratizzazione e d’inclusione che raggiunge milioni di persone, varca i ristretti confini dello Stato-nazione e unisce i cittadini dell’intera Unione Europea. Per altri invece, tra i quali Balibar, la cittadinanza europea non solo non è un fattore di inclusione ma addirittura il contrario, un fattore di esclusione[6].

Il concetto di cittadinanza è strettamente legato ai diritti e doveri di ogni cittadino nei confronti del proprio Stato e dello Stato nei confronti dei propri cittadini. La cittadinanza europea non aggiunge novità essenziali a questo rapporto di diritti e doveri se non il fatto che viene applicato in un territorio più ampio e anche il suo effetto carismatico. Di sostanziale quasi niente di nuovo, i cittadini sono portatori degli stessi diritti e doveri. Tutto ciò che questo nuovo modello di cittadinanza comporta è l’esclusione sociale di tutti coloro che risiedono e lavorano nel territorio europeo ma nonostante questo non possono avere la cittadinanza europea la quale è riservata solo ai cittadini degli Stati membri (della quale maggior parte dei quali non sanno che farsene).

 

L’Unione europea e la sua carismatica Costituzione negano questo diritto a tutti gli extracomunitari che vivono al suo interno e non è solo il fatto di negare la cittadinanza, ma negare tutti i diritti e doveri che stanno dietro al concetto di cittadinanza e attribuisce questi diritti a coloro che già godono della gran parte di essi. Di conseguenza, questa sanziona lo sviluppo dell’apartheid, o l’esclusione sociale e politica di una parte dei suoi residenti e si priva in anticipo degli strumenti per lottare contro il razzismo strutturale (istituzionale), che d’altra parte essa stessa denuncia.

Anzi che essere un concetto universale che unisce e rafforza i legami sociali, la cittadinanza europea crea una notevole frattura interna che divide e innalza dei confini tra cittadini che dividono lo stesso spazio. Tutte queste carenze smentiscono l’ideale di un’Europa all’avanguardia nell’elaborazione della democrazia e dell’uguaglianza. Tutto questo presenta il suo carattere antidemocratico a la fa sembrare solo un’illusione democratica. Viene vista come la soluzione migliore per portare l’unificazione di tutti i cittadini europei e l’abbattimento degli ultimi confini sociali, ma in realtà questo modello di cittadinanza è proprio il modello che genera confini, dei confini interni che producono un puro razzismo, il diverso, lo straniero[7].

Come ha scritto Zygmunt Bauman “ tutte le società producono degli stranieri, ma ogni forma di società ha il suo inimitabile modo di produrre degli stranieri e ogni società produce i suoi propri stranieri”[8]. L’unione europea in tal caso ha fatto sorgere un nuovo modo di essere “stranieri”.

 

Crea, quindi, un nuovo tipo di discriminazione che non esisteva, in modo così evidente, nelle singole nazioni. Genera forme di razzismo specificatamente “europee”. Si pensi agli oltre tredici milioni di persone provenienti dai paesi “terzi”, installati da una o più generazioni in diverse nazioni europee. Essi sono diventati, ormai, completamente indispensabili all’economia, alla cultura e alla civiltà in Europa. Catherine Wihtol de Wenden definisce questa moltitudine la “ventottesima nazione europea”.

Per allargare la cittadinanza alle diverse componenti del popolo europeo, Balibar non esita a suggerire che occorre generalizzare ed estendere il modello di cittadinanza fino a includere in essa anche coloro che non sono cittadini di uno degli Stati membri, creando cosi una cittadinanza basata sulla residenza, altrimenti, l’attuale modello di cittadinanza rischia di produrre un regime di esclusione del tutto simile a quello del sistema dell’apartheid e in contraddizione flagrante con l’ambizione di costruire un modello democratico di respiro continentale e mondiale.

Per la prima volta nella storia della cittadinanza, il protagonista assoluto della cittadinanza europea è il cittadino (europeo) al di là della sua appartenenza nazionale. Per la prima volta l’attribuzione dei diritti al soggetto prescinde dall’incontro con l’istituzione statale, ma è la prerogativa della legittimità dell’istituzione stessa. Quello contenuto nella cittadinanza europea è, per ora solo potenzialmente, la prefigurazione di un ordine politico che non si appoggia più sulla logica stato-centrica e sovrana del comando e della gerarchia. Valorizza invece la forza inclusiva e integrante di una comunità politica a venire, che prende l’aspetto di un’organizzazione socio-istituzionale post-nazionale e multiculturale, dove possano essere sperimentati continuamente nuove forme di partecipazione, condivisione dei beni comuni, emergenza e affermazione di diritti, anche nel tentativo di affermare il proprio libero progetto esistenziale, sperimentazione di nuovi processi economici[9]

 

 


[1]Giovanna Procacci, Quanto è sociale il “modello sociale europeo”? Note in margine alle vicende del Trattato costituzionale europeo. Europa, Cittadinanza, Confini. Op. cit. p. 195-196

[2]Luca Baccelli, Un eredità da non depilare. Europa, Cittadinanza, Confini. Op. cit. p. 84-85

[3]Etennie Balibar, Europa paese di frontiere, op. cit. p. 30

[4]Lorenzo Grifone Baglioni La cittadinanza europea: diritti, pratiche, appartenenze, SME op. cit. p.80

[5]Id. p.  82

[6]Etienne Balibar, Europa, paese di frontiere, op. cit. p. 92-93

[7]Id. p 83

[8]Zygmunt  Bauman, The Makenin and Unmaking of Srangers, New York University Press, New York 1997, p. 17

[9]  Centro Per La Riforma Dello Stato, Per una cittadinanza europea: di residenza e post-nazionale, 25 giugno 2008